IL CICLO DEL CONTATTO IN PSICOTERAPIA DELLA GESTALT.

Del Dott. Efisio Temporin

 

Il contatto può essere definito quello spazio tra organismo e ambiente o tra due o più organismi, in cui può avvenire qualcosa. Ma è anche qualcosa che avviene all’interno dell’organismo, che è in contatto, cioè in ascolto, di ciò che avviene al suo interno, come le emozioni, i bisogni, le attività fisiologiche. Quando si è in contatto con l’emozione che si prova si risulta più vibranti, più carismatici. Basti pensare a un cantante che ha una bella voce ma non sente alcuna emozione nel cantare, rischia di non trasmettere nulla di emotivo non essendo in contatto, oppure a un attore che recita bene ma magari, in una scena in cui dovrebbe essere arrabbiato, non sente dentro di sé la rabbia: il risultato è che risulti finto, uno che recita appunto. Essere in contatto con sé stessi e con l’altro è fondamentale per vivere una vita sana e piena, per instaurare rapporti onesti e veritieri.

La gestalt considera l’essere umano come un organismo in senso olistico, in contatto con l’ambiente. Il contatto avviene nella linea di demarcazione organismo/ambiente, ed è costituito da una infinità di funzioni che compiamo ogni giorno come percepire, prendere il cibo e mangiare, apprendere, amare, muoversi nel mondo ecc. Il contatto permette la crescita dell’organismo, mentre la sua assenza, portato all’estremo dà luogo alla morte.

“Il contatto, ovverosia quel processo che da adito all’assimilazione, e quindi alla crescita, consiste nel lento costituirsi di una figura prevalente su uno sfondo, o contesto, del campo organismo/ambiente” (F. Perls, R.F. Hefferline, P. Goodmann, 1951).

È il contatto quindi a permettere la crescita di un organismo nell’ambiente.

Quella parte dell’organismo che stà nella linea di demarcazione tra organismo e ambiente, cioè stà in contatto sia con l’organismo che con l’ambiente, appartenendo quindi a entrambi, è definita sé. In Gestalt il sé non è inteso, come nella teoria Psicoanalitica, come qualcosa di profondo e nucleare nell’essere umano, ma è il complesso sistema di contatti costituito da funzioni quali il sentire fame, prendere il cibo e mangiare, l’essere aggressivi, il percepire e il muoversi in base a ciò che si percepisce, l’amare, il comunicare, e in generale ogni altra funzione che si trova nella linea di demarcazione tra organismo e ambiente. Nel vivere quotidiano l’organismo mette continuamente in figura una di queste funzioni e in sfondo le altre, in una danza continua basata sull’emergenza di un bisogno e sulla sua soddisfazione.

Funzione fondamentale del sé è l’adattamento creativo, che consiste nell’accogliere le novità provenienti dall’ambiente usandole per ampliare le proprie esperienze, trasformandole in maniera creativa, distruggendole e reintegrandole allo scopo di evolversi.

 

Fanno parte del sé l’Io, l’Es e la Personalità.

 

L’Es si sperimenta durante la sensazione che toglie l’organismo dal rilassamento iniziale, che si può manifestare come sintomi fisici, come modificazioni del respiro, sensazione di stretta alla gola, tensione al petto, farfalle nello stomaco ecc. E’ quindi quell’automatismo di base che ci prepara a fronteggiare l’ambiente o a soddisfare un bisogno interno (fame, fuga, sessualità ecc.).

 

L’Io ha la funzione di scegliere se accettare, limitare o espandere il nostro contatto col mondo esterno o con quello interno. Dal momento in cui emerge un bisogno, e l’organismo si mobilita per soddisfarlo, l’Io ha la funzione di compiere delle scelte deliberate escludendo alcune delle possibilità per il soddisfacimento del bisogno, scegliendo, per esempio, come distribuire il proprio tempo e le proprie risorse, quali risorse mobilitare e come.

 

La Personalità è “il sistema degli atteggiamenti assunti nei rapporti interpersonali”, è l’idea che ognuno ha di sé stesso, è il modo in cui ci rappresentiamo, la nostra immagine interna, il nostro senso di identità.

 

Secondo Perls, Hefferline e Goodmann (1951), il ciclo del contatto si divide in quattro fasi:

1. Contatto preliminare.

2. Contatto.

3. Contatto finale.

4. Post-contatto.

Emerge in figura un bisogno, come la fame (Es). In seguito l’appetito va sullo sfondo ed emerge in figura l’insieme di possibilità per soddisfarlo. Emerge l’emozione, si determina la scelta di una possibilità e il rifiuto delle altre (Io). La meta finale va in figura, e si ha un pieno contatto con essa. Fluida interazione organismo/ambiente in cui non emerge alcuna figura dallo sfondo.

Per meglio comprendere il ciclo del contatto approfondiamo l’esempio della fame: stò leggendo un libro, sento lo stimolo della fame (contatto preliminare); a questo punto mi sorge subito alla mente di cosa ho voglia per soddisfarlo, per esempio ho voglia di qualcosa di salato, dei crackers, so di averli in cucina, mi alzo, li vado a prendere, apro il pacchetto e ne mangio uno (contatto); finito il pacchetto mi ascolto e mi sento a posto (contatto finale) e torno sul divano a leggere il libro (post-contatto), il mio organismo è appagato e rilassato, pronto per l’emergere di un nuovo bisogno.

Paolo Quattrini spiega i quattro passaggi definendoli “cosa sento”, “cosa voglio” in base a ciò che sento (la scelta dell’Io fra le varie possibilità), “cosa faccio”per soddisfare questo bisogno e infine, “cosa sento dopo averlo fatto”.

Petruska Clarkson, come altri autori, scompongono il ciclo in un numero maggiore di passaggi, in particolare l’autrice, disegnando i vari passaggi lungo un cerchio, lo suddivide in:

 

1.      Ritiro o organismo a riposo

2.      Sensazione (pre-contatto)

3.      Consapevolezza dell’emergenza del bisogno (pre-contatto)

4.      Mobilizzazione ed eccitamento (fase di contatto)

5.      Scelta ed attuazione della azione appropriata (fase di contatto)

6.      Contatto finale

7.      Soddisfazione o post-contatto e compimento della Gestalt.

8/1    Ritiro o organismo a riposo

 

In definitiva si può descrivere il ciclo del contatto come, partendo da uno stato di quiete, di riposo, l’emergere di una sensazione/emozione, che, se avvertita porta alla scelta di un modo per esprimerla/soddisfarla, scelta che si deve tradurre in un movimento/azione verso questa espressione/soddisfacimento, movimento/azione che se efficaci portano alla soddisfazione e alla chiusura della gestalt, se non efficaci si torna al punto della scelta di una modalità di espressione/soddisfazione che va modificata e provata esperendone il successo o la delusione, per poi finalmente concludere il ciclo o ricominciarlo fino alla completa soddisfazione. Il ciclo così può aprirsi e chiudersi come un cerchio, oppure avvolgersi a chiocciola nel tentativo di raggiungere un centro di soddisfazione e riposo.

Ogni ciclo del contatto è definito una “Gestalt”, che deve essere conclusa perché l’organismo stia bene e si possa passare ad un ciclo successivo. Il nostro sé, entrando in contatto con l’ambiente, e quindi con sempre nuove esperienze, si ritrova a dover continuamente formare e chiudere Gestalt che vanno completate per poter passare a quelle successive. Tornando al nostro esempio, se la voglia di qualcosa di salato viene “messa da parte”per poter proseguire nella lettura, probabilmente questa gestalt incompiuta (unfinished business) può portare la persona a un’inquietidune data dall’insoddisfazione e dalla fame che si fa sempre più sentire, impedendo di godersi il libro. Purtroppo la nostra esistenza è piena di gestalt inconcluse: basti pensare a tutte le volte che non abbiamo ascoltato un bisogno fisiologico (ho fame ma ora non ho tempo, devo lavorare!), che sentivamo il bisogno di ricevere affetto ma non l’abbiamo chiesto, a quante volte non abbiamo espresso la rabbia e ce la siamo “tenuta dentro”. La vita è piena di “rospi”rimasti in gola, o non ancora digeriti, di varie dimensioni.

È proprio la presenza di queste gestalt ancora aperte che crea, secondo la teoria della Gestalt, il disagio, il problema, il disturbo nell’organismo.

L’autoregolazione organismica è un concetto che presuppone che un organismo debba sentire e soddisfare continuamente i suoi bisogni, in un aprirsi e completarsi continuo di cicli del contatto. Un organismo nasce capace di autoregolazione ma col tempo sempre più rimangono aperti, perché non soddisfiamo bisogni e desideri al momento del loro presentarsi in figura, a volte neanche più li sentiamo, neanche i bisogni corporei, addestrati fin da piccoli a ignorarli; così non sentiamo più la fame perché dobbiamo lavorare, attendiamo ore prima di soddisfare bisogni fisiologici perché non abbiamo tempo da perdere, ignoriamo i nostri bisogni emotivi, non esprimendo la rabbia perché “non si fa”, non piangiamo per esprimere il nostro dolore perché “gli uomini non piangono”, non chiediamo affetto per vergogna, e l’autoregolazione organismica, che alla nostra nascita era viva e perfettamente funzionante, diviene mano a mano sempre più difficile, e le gestalt inconcluse diventano sempre di più ogni giorno che passa. Per uscire da questo incastro la Psicoterapia della Gestalt va alla ricerca delle Gestalt inconcluse passate, chiudendole nel qui ed ora, aprendo al cliente quelle vie dell’autoregolazione organismica chiuse ma non perse del tutto, riattivandole rendendo l’organismo consapevole dei propri incastri e guidandolo verso la ricerca creativa di strade possibili per uscirne, in modo che di gestalt inconcluse ne rimangano sempre meno in futuro.

I diversi modi di nominare le diverse fasi del contatto, delineati da diversi autori, mettono in evidenza un aspetto molto interessante del sistema percettivo dell’essere umano denominato l’alternanza figura/sfondo.

Come dire che il ciclo del contatto, con le sue fasi, si regge operativamente sul modo geneticamente determinato di recuperare le informazioni, sia dal mondo esterno che dal mondo interno, secondo l’andamento della figura/sfondo. Se non c’è uno sfondo non si potrà comprendere il significato della figura e viceversa, se non c’è una figura non c’è modo di vivere intenzionalmente la propria esistenza. Cioè, non siamo in grado di comprendere ciò che vogliamo. La dinamica figura/sfondo, scoperta dagli psicologi della gestalt, mette in evidenza proprio come il sistema percettivo umano selezioni le informazioni provenienti dall’ambiente (esterno o interno) in maniera selettiva, in base all’emergenza dei bisogni dell’organismo o in base a questa o a quella motivazione. In questo modo l’essere umano preleva le informazioni e le organizza in un tutto dotato di senso soggettivo. Durante questo processo il dinamismo figura/sfondo dovrebbe rimanere fluido in maniera tale da permettere quell’alternanza vitale tra le figure e gli sfondi che prende vita nel campo percettivo durante l’esistenza della persona.

Questo alternarsi non avviene casualmente ma sembra essere mosso dalle diverse esperienze emotive che viviamo. Sarebbero proprio le emozioni il “carburante” propulsivo in grado di alternare le diverse figure tra di loro, mettendole in primo piano oppure relegandole sullo sfondo.

Durante una seduta di psicoterapia è fondamentale tener conto di questo processo, che traduce il ciclo del contatto in questa alternanza figura/sfondo, sviluppando così le seguenti fasi:

  1.     Permanenza dello sfondo
  2.     definizione della figura
  3.     figura motivante
  4.     dissolvenza della figura
  5.     soddisfazione organismica e riattivazione del dinamismo figura/sfondo.

 

Durante la prima fase di permanenza dello sfondo, il cliente riferisce, solitamente, di non sapere esattamente su quale problema lavorare. Spesso è incerto e smarrito o il più delle volte è preso da un flusso di parole che sembrano non portare a focalizzare l’attenzione su niente in particolare. In questo modo sembra che in primo piano si alternino così velocemente le immagini per cui si ha la sensazione che il cliente “stia girando intorno al problema”. Sembra quasi che il cliente navighi senza bussola nell’oceano infinito dello sfondo, fino a quando comincia a focalizzare un primo abbozzo di rotta che lo porterà ad intravedere una figura che si definirà sempre di più (definizione della figura). Il terapeuta deve agevolare questo processo, aiutando il cliente a definire e mettere in figura un problema, scegliendo tra tanti che si prospettano nello sfondo, e prendendosi la responsabilità di lavorare su quello e non su un altro. A questo punto si passa così al terzo step del ciclo del contatto denominato figura motivante.

In questa fase si ha una figura in primo piano nel panorama percettivo del cliente. Questa figura può derivare dal mondo intrapsichico o dal mondo esterno. Solitamente, durante una  seduta di psicoterapia, tale figura emerge dal passato della persona. A volte può appartenere ad un passato prossimo, altre volte al trapassato prossimo.

La figura si regge in primo piano poggiandosi su di uno sfondo, i cui elementi che lo compongono sono della stessa data temporale della figura medesima.

A questo stadio il cliente definisce cognitivamente la natura del suo problema ma ancora la figura rimane priva di quella spinta motivazionale necessaria al fine di attuare quella trasformazione creativa che si concretizza nell’elaborare un nuovo comportamento che risulti più funzionale all’esistenza del cliente di fronte al problema/figura messo in evidenza. La figura acquista energia nel momento in cui il cliente diviene consapevole dell’emozione che la sorregge in primo piano. Prima di questa consapevolezza emotiva, il cliente può raccontare al terapeuta vicende riguardanti la propria vita che farebbero addolorare o raccapricciare il più indefesso alessitimico, senza per questo sentire il ben che minimo moto emotivo dentro di sé.  Il passaggio dalla seconda fase alla terza del ciclo del contatto avviene nel momento in cui il cliente sente ciò che prova emotivamente nel raccontare l’evento riguardante la figura in primo piano. Se non sentisse niente, rimarrebbe in quella fase che da F. Perls è stata denominata pre-contatto. Entrare in contatto con l’emozione che accompagna la figura in primo piano vuol dire definire la figura con colori che prima non aveva, vuol dire dare spazio alla motivazione al cambiamento. Motivazione che si basa su di una emozione e non su di una mancanza di emozione. Cioè, solo se il cliente è motivato a cambiare riuscirà a non interrompere il contatto emotivo con la figura e procederà oltre le colonne di Ercole che segnano al suo Io il limite oltre il quale non si deve spingere durante la navigazione nel mare profondo e incerto dell’anima. Soltanto attraverso una emozione sufficientemente sentita e per questo motivante, il cliente può andare oltre i suoi abituali schemi comportamentali e metterne in atto dei nuovi compiendo un vero e proprio atto creativo. Si realizza in questo modo lo stadio della figura motivante che lascia il passo allo stadio della dissolvenza della figura in cui la figura, in primo piano nel campo percettivo, si dissolve in quanto il cliente ha trovato un appagamento al problema, su di un triplice livello, cognitivo, comportamentale e corporeo.

In questa quarta fase il cliente solitamente riporta una sensazione psicofisica che potremo definire di appagamento e di integrazione. Una sensazione simile a quella che può provare un alpinista quando raggiunge la vetta di una montagna. Il suo Io si sente capace di aver compiuto un’impresa molto faticosa e al tempo stesso dolorosa ma che lo ha portato a scoprire aree di sé impensate e soprattutto a mettere in atto dei comportamenti che fino a quel momento gli sembravano impossibili o addirittura impensabili. Si potrebbe dire che a questo punto il cliente ha tracciato una nuova rotta che lo ha portato in un porto sconosciuto ma che ora diviene parte delle sue competenze relazionali.

A questo punto si passa all’ultima fase denominata della soddisfazione organismica e riattivazione del dinamismo figura/sfondo.

In questa fase il cliente si sente maggiormente integrato e in contatto con il mondo circostante e soprattutto maggiormente in grado di affrontare con creatività la sua esistenza.

Questo significa, su di un piano psicoterapeutico che, l’io del cliente ha sperimentato la capacità di entrare in contatto con parti di se stesso che prima aveva rilegato sullo sfondo, attraverso la messa in atto di un atteggiamento creativo nella risoluzione di un problema. Questo modo di procedere nel lavoro psicoterapeutico, rappresenta la chiave di volta per uscire dai vincoli ristretti della visione nevrotica, prendendo gradualmente confidenza con i suoi nuovi modi di esprimersi e relazionarsi nei confronti del mondo.

Il cliente, a questo stadio, riferisce di sentirsi soddisfatto ed appagato. Solitamente sperimenta una sensazione di integrazione che si traduce nell’essere più presente a sè stesso e maggiormente in contatto con il mondo circostante.